Derek Redmond: la corsa di una vita che commosse il mondo
Dal record britannico ai drammi degli infortuni, fino alla semifinale di Barcellona 1992: la storia di Derek Redmond è una delle pagine più emozionanti dell’atletica leggera e delle Olimpiadi moderne.
Gli inizi: talento e sostegno familiare
La passione per la corsa nasce fin dall’infanzia. A sostenerlo in ogni passo c’è suo padre Jim, figura centrale nella sua crescita sportiva: lo accompagna ad allenamenti e gare, spingendolo a credere nel suo talento. Nel 1985, a soli 19 anni, Derek firma il record britannico dei 400 metri piani con 44″82, confermandosi uno dei prospetti più brillanti della velocità europea.
Un anno dopo entra nella squadra britannica della 4×400 metri. Con il compagno e rivale Roger Black vive una stagione memorabile: nel 1986 conquista l’oro sia ai Campionati Europei che ai Giochi del Commonwealth. Nonostante i trionfi in staffetta, Redmond sogna la vittoria individuale: un titolo olimpico nei 400 metri. L’obiettivo è chiaro: prepararsi per Seul 1988.
La caduta: il calvario degli infortuni
Il sogno olimpico coreano si trasforma in incubo. Pochi istanti dopo lo start, Derek avverte un dolore lancinante al tendine d’Achille. Sul tabellone appare la scritta DNF (Did Not Finish). È l’inizio di un calvario: nei quattro anni successivi si sottoporrà a otto operazioni, lottando contro infortuni che sembrano voler spegnere la sua carriera.

La rivincita di Tokyo 1991
Ma Redmond non si arrende. Ai Mondiali di Tokyo 1991, insieme a Black, Regis e Akabusi, trascina la Gran Bretagna a una vittoria storica nella staffetta 4×400. Battono i favoriti Stati Uniti e fissano il record europeo in 2’57″53. È un trionfo che riaccende le sue ambizioni olimpiche: Barcellona lo attende.
Barcellona 1992: la semifinale che divenne leggenda
In splendida forma, Redmond domina i quarti di finale dei 400 metri con il miglior tempo assoluto. Ma in semifinale il destino colpisce ancora: dopo poche decine di metri sente uno strappo alla coscia destra e crolla a terra. Lo stadio trattiene il fiato. Derek però si rialza, zoppica, saltella sulla gamba sinistra, deciso a finire la sua corsa.
Ed è allora che accade la scena che entrerà nella leggenda olimpica. Un uomo supera la sicurezza e raggiunge l’atleta: è suo padre Jim. I due si abbracciano, tra lacrime e dolore, e insieme percorrono gli ultimi metri fino al traguardo, accolti dall’ovazione del pubblico del Montjuïc.

Un gesto oltre lo sport
Quella di Redmond non fu una vittoria sportiva, ma una vittoria umana. L’immagine di un atleta spezzato, sorretto dal padre, resta ancora oggi uno dei simboli più forti dello spirito olimpico. Una storia che ci ricorda come, nello sport come nella vita, non arrendersi mai sia la vittoria più grande.
