Maggie Alphonsi – Il placcaggio che ha cambiato il destino
Cresciuta nella Londra dura degli anni ’90, con una disabilità al piede e una famiglia complicata, Maggie Alphonsi sembrava destinata a una vita ai margini. Invece è diventata una delle rugbiste più forti di sempre. Senza urlare. Senza chiedere permesso. Solo placcando. Sempre più forte.
Una partenza in salita
Maggie nasce con un piede torto. Da piccola zoppica, corre male, si opera più volte. Vive in un quartiere difficile, con una madre nigeriana single e poche possibilità. Il rugby sembra l’ultimo dei mondi possibili. Ma un insegnante intravede qualcosa in lei e la porta a un primo allenamento. Ha 14 anni. Non ha mai visto un pallone ovale. Ma capisce subito che lì, in mezzo al fango, può essere se stessa.
La flanker che faceva paura
Alta 1,63, compatta e fortissima, Maggie si impone come flanker. È ovunque. Placca, recupera, combatte in ogni ruck. Non si tira mai indietro. In Nazionale inglese gioca 74 partite internazionali. Vince 7 Sei Nazioni consecutivi, 6 Grand Slam e soprattutto la Coppa del Mondo del 2014. Per le sue compagne è “The Machine”. Per le avversarie, un incubo. Entra nella storia. Ma il suo nome resta poco conosciuto fuori dal Regno Unito. E questo è un peccato.

Fuori dai riflettori
Mentre il rugby maschile celebra i suoi eroi, Maggie resta in ombra. È donna. È nera. E gioca in uno sport che, ancora oggi, non garantisce troppa visibilità alle sue protagoniste. Eppure, il suo impatto è enorme. Dentro e fuori dal campo. Non ha mai cercato le luci della ribalta. Ha cercato spazi. Se non li trovava, se li prendeva. Con rispetto. E con determinazione.
Una voce che pesa, anche su carta
Nel 2023 Maggie pubblica la sua autobiografia: “Winning the Fight”. Non è solo un libro sul rugby, ma una storia di resistenza, identità e orgoglio. Racconta come sia diventata la migliore del mondo partendo da una situazione in cui tutto sembrava giocare contro di lei: povertà, razzismo, sessismo, stereotipi. Il libro è un grido, ma anche un abbraccio: parla di sport, sì, ma soprattutto di cosa significa lottare per non essere definita da nessuno. È stato finalista ai Sports Book Awards come Autobiografia dell’anno. E secondo il Sunday Times, “Maggie ha cambiato per sempre il modo in cui si gioca questo sport”.
Dopo il campo, la voce
Dal giorno del ritiro, Maggie ha cambiato ruolo. È diventata una delle voci più ascoltate del rugby inglese. Commenta le partite in tv. Tiene discorsi motivazionali. Visita scuole, centri sportivi, carceri. Promuove l’inclusione e l’uguaglianza. Ha ricevuto l’onorificenza MBE dalla Regina Elisabetta. È entrata nei comitati dirigenziali del rugby mondiale. E il suo messaggio è semplice quanto potente: “Non lasciare che il modo in cui sei nato decida come finirai.”

Una storia da raccontare
Il fisico scolpito, le mani segnate, lo sguardo fiero. Ma anche una storia che va oltre i titoli. Una storia fatta di ostacoli, conquiste, scelte. Se oggi sempre più bambine si avvicinano al rugby senza vergogna, è anche grazie a lei. Se oggi si può parlare di sport femminile con più rispetto, è anche merito suo. Eppure, pochi conoscono davvero il suo nome.